Ossa di morto (Ossa ‘i mortu)
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente manuale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Impastare farina, acqua e l’estratto di chiodi di garofano, amalgamare il tutto con le chiare d’uovo solidificate al forno. Una volta ottenuto un impasto omogeneo dare la forma di tibie incrociate ed infornare.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
territorio = RC
INGREDIENTI UTILIZZATI: Farina, zucchero, estratto di chiodi di garofano, uovo.
FORMA: Tibie incrociate.
DIMENSIONI MEDIE: Lunghi 5 cm.
PESO MEDIO: 25 gr.
SAPORE: Friabile e dolce.
ODORE: Essenza di chiodi di garofano.
TERRITORIO INTERESSATO DALLA PRODUZIONE: Reggio Calabria.Dolci tradizionali legati alla festività della Commemorazione dei morti, da cui le tipiche forme di tibie incrociate, teschi, piccoli scheletri. Citati su “Quando a Reggio non c’erano i cornetti” di Giuseppe Polimeni pubblicato su Calabria Sconosciuta n. 58 – anno XVI, 1993.
Nepitelle (Nepitteddhi, Nepite, Nepiteji)
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Artigianale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Gli ingredienti mensionati, vengono miscelati per la preparazione dell’impasto che deve risultare omogeneo ed elastico. La pasta così ottenuta viene distesa con il matterello e successivamente si imprime la forma, un tempo manualmente, oggi con appositi stampini. Si procede al riempimento con il ripieno precedentemente preparato. Il prodotto finito si “lucida” spennellandolo con uovo sbattuto, acqua e zucchero.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Il periodo di lavorazione tradizionale è quello pasquale. Oggi le Nepitelle vengono prodotte in diversi periodi dell’anno.
territorio = TUTTE
INGREDIENTI UTILIZZATI: Per la pasta: farina di grano tenero, zucchero, margarina, uova, lievito per dolci. Per il ripieno: uva passa, noci, mandorle, vino cotto, frutta candita. Oggi il vino cotto è sostituito da marmellata di amarene e/o cioccolato.
FORMA: Tipica a D.
PESO MEDIO: 120-130 gr.
SAPORE: Dolce.
ODORE: Tipico.
COLORE: Dal marrone chiaro al giallo ocra.
AREA DI PRODUZIONE: Provincia di Catanzaro e di Crotone.Le Nepitelle sono dolci tradizionali della Provincia di Catanzaro e di Crotone tipici della festività della Pasqua. Il nome deriva dal termine latino nepitedum, dialettale nepitedu, che significa orlo e palpebre degli ochi. La forma di questi dolci ricorda infatti quella di un occhio chiuso. Le Nepitelle sono citate nel testo del Corapi (“Raccolta del dialetto catanzarese”) e del Cotronei (“Vocabolario calabro-italiano” – Catanzaro, 1895).
Nacatole (Nacatuli)
Le nacatole vengono consumate generalmente accompagnandole con i vini passiti e liquorosi prodotti nel territorio della Locride (Greco di Bianco e Mantonico).
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente manuale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: In un recipiente mescolare le uova con lo zucchero, aggiungere l’olio extravergine di oliva, il latte, l’anice, la farina ed il lievito. Impastare il tutto e dare la forma che si desidera. Friggere in abbondante olio di oliva e dopo la cottura, lasciare asciugare e cospargere di zucchero.
territorio = RC
INGREDIENTI UTILIZZATI: Uova, zucchero, olio extravergine di oliva, latte, anice, farina e lievito.
FORMA: Varia.
AREA DI PRODUZIONE: Comprensorio della Locride in Provincia di Reggio Calabria.Le nacatole sono dolci di origine antica di forme diverse, che vengono preparate nelle famiglie e nelle pasticcerie locali, durante il periodo natalizio. Si preparano una settimana prima di Natale come segno beneaugurale e non possono mancare nel cenone di fine anno. Vengono venduti anche presso i laboratori di pasticciere.
Mozzetti
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Miste.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Gli ingredienti vengono amalgamati nell’impastatrice, il composto viene dunque diviso in forme e quindi cotto nel forno rotativo.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
MATURAZIONE STAGIONATURA DEL PRODOTTO: Il prodotto viene posto in grossi vassoi di legno ad essiccare mediante forni o stufe.
territorio = RC
INGREDIENTI UTILIZZATI: Farina, zucchero, mandorle, olio di oliva, latte, vanilina, lievito naturale, aromi naturali (limone, mandorle amare).
FORMA: Varie.
DIMENSIONI MEDIE: Varie.
PESO MEDIO: 40/60 gr.
SAPORE: Dolce.
ODORE: Gradevole.
COLORE: Bianco sporco.
tradizione = Prodotto tradizionale della pasticceria familiare e aziendale del comprensorio della Locride (RC).
Mostaccioli (Mustazzuali, ‘nzudde)
I mostaccioli sono dolci antichissimi. Il nome deriva dal latino mustaceus o mustaceum antica focaccia per nozze, cotta al forno sopra foglie di lauro (Y.B. Marzano 1928). Fanno parte della tradizione dolciaria calabrese, sono particolarmente ricercati, soprattutto in occasione di sagre e feste patronali. La loro peculiarità risiede, oltre che nel prevalente utilizzo di miele, nelle forme raffiguranti figure storiche o di animali.
Morticeddhi o Frutti alla Martorana
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Miste.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Le mandorle triturate vengono impastate con farina, zucchero e aromi, l’impasto così ottenuto viene messo in stampi a riproduzione fedele di frutta, ortaggi, pesce, verdure, etc.I pezzi appena tolti dallo stampo vengono modellati con le dita o con una stecca di legno e quindi colorati individualmente con tinture artificiali.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
territorio = RC
INGREDIENTI UTILIZZATI: Mandorle, farina, zucchero, aromi vari.
FORMA: Varia.
DIMENSIONI MEDIE: Varie.
PESO MEDIO: Vario.
SAPORE: Granuloso e ricco.
ODORE: Profumo di mandorle intenso.
tradizione = “La sera del 1° Novembre, prima di coricarsi, tutti i bambini ponevano ai piedi del letto le scarpe ben lucidate o le calze. La mattina appena svegli andavano a controllare se durante la notte le anime buone dei defunti le avevano riempite con i “morticeddhi” o “frutti alla Martorana”. Tratto da “Quando a Reggio non c’erano i cornetti” di Giuseppe Polimeni pubblicato su Calabria Sconosciuta n. 58 – anno XVI, 1993.Dolce di marzapane tradizionale legato alla festività della Commemorazione dei Defunti, anche detto frutti alla Martorana dal nome del convento palermitano le cui suore erano specialiste nella produzione di questi dolcetti.Secondo quanto riportato dal Prof. Miggiano (su “Ricordi della vecchia Reggio”) alcuni pasticcieri reggini si costruivano da soli gli stampi tuffando i diversi frutti in un bagno di gesso fuso.Citato dal Prof. Miggiano su “Ricordi della vecchia Reggio”, Laruffa editore – RC, 1973.
Liquirizia all’anice (Gargalizia, Licarizia)
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente meccanica.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: La radice di liquirizia viene mondata dai residui di terra e successivamente tritata con antiche macine. Si ottiene così il succo di liquirizia che viene concentrato, in grosse pentole di acciaio, ad una temperatura di circa 100°C. Il prodotto viene trasformato in pani da cui si ottengono infine le varie forme (scagliette, spezzate, tronchetti). Tutta la fase di lavorazione ha una durata di otto ore.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
MATURAZIONE STAGIONATURA DEL PRODOTTO: Il prodotto viene posto in grossi vassoi di legno ad essiccare mediante forni o stufe.
territorio = TUTTE
INGREDIENTI UTILIZZATI: Radice di liquirizia. Nel prodotto gommoso aggiunta di nero carbone vegetale e zucchero e aroma di anice.
FORMA: Varie, generalmente in scaglie e bastoncini.
DIMENSIONI MEDIE: 2 cm.
PESO MEDIO: A partire da 0,5 gr.
SAPORE: Dolce-amaro all’anice.
ODORE: Intenso.
COLORE: Nero.
tradizione = La liquirizia pianta originaria dell’area mediterranea, è una leguminosa perenne caratterizzata da radici fittonanti e lunghi stoloni da cui si estrae il “succo o estratto”. Impiegata in diversi settori industriali (particolarmente in quella dolciaria). Esistono diverse varietà ma la più apprezzata è la glabra. In Italia la liquirizia trova localizzazione quasi esclusivamente nella Regione Calabria dove si concentra circa l’80% della produzione nazionale. Da sempre la liquirizia ha costituito per la Calabria una potenziale ricchezza, ma soltanto con l’intervento del Duca di Corigliano, che impiantò la prima fabbrica del genere (1715), agli albori dell’industrializzazione, essa divenne una fonte reale di progresso economico. Altre aziende sorsero sempre nel 1700 e sempre nella Sibaritide, ad opera di nobili e ricche famiglie: Amarelli (1731), Abenante (divenuta poi Martucci nel 1808) e Labonia nel territorio del comune di Rossano e Castriota-Scanderbeg (divenuta poi Solazzi) in quello di Corigliano. Nel corso del 1800 l’industria continuò a svilupparsi, conquistando, grazie alla bontà e genuinità del prodotto, i mercati d’Europa e d’America. L’esportazione della liquirizia calabrese si consolidò ed ampliò nella seconda metà del secolo XIX ed ancora nel primo decennio del secolo XX.
Liquirizia alla menta (Gargalizia, Licarizia)
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente meccanica.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: La radice di liquirizia viene mondata dai residui di terra e successivamente tritata con antiche macine. Si ottiene così il succo di liquirizia che viene concentrato, in grosse pentole di acciaio, ad una temperatura di circa 100°C. Il prodotto viene trasformato in pani da cui si ottengono infine le varie forme (scagliette, spezzate, tronchetti). Tutta la fase di lavorazione ha una durata di otto ore.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
MATURAZIONE STAGIONATURA DEL PRODOTTO: Il prodotto viene posto in grossi vassoi di legno ad essiccare mediante forni o stufe.
territorio = TUTTE
INGREDIENTI UTILIZZATI: Radice di liquirizia. Nel prodotto gommoso aggiunta di nero carbone vegetale e zucchero e aroma di menta.
FORMA: Varie, generalmente in scaglie e bastoncini.
DIMENSIONI MEDIE: 2 cm.
PESO MEDIO: A partire da 0,5 gr.
SAPORE: Dolce-amaro alla menta.
ODORE: Intenso.
COLORE: Nero.
tradizione = La liquirizia pianta originaria dell’area mediterranea, è una leguminosa perenne caratterizzata da radici fittonanti e lunghi stoloni da cui si estrae il “succo o estratto”. Impiegata in diversi settori industriali (particolarmente in quella dolciaria). Esistono diverse varietà ma la più apprezzata è la glabra. In Italia la liquirizia trova localizzazione quasi esclusivamente nella Regione Calabria dove si concentra circa l’80% della produzione nazionale. Da sempre la liquirizia ha costituito per la Calabria una potenziale ricchezza, ma soltanto con l’intervento del Duca di Corigliano, che impiantò la prima fabbrica del genere (1715), agli albori dell’industrializzazione, essa divenne una fonte reale di progresso economico. Altre aziende sorsero sempre nel 1700 e sempre nella Sibaritide, ad opera di nobili e ricche famiglie: Amarelli (1731), Abenante (divenuta poi Martucci nel 1808) e Labonia nel territorio del comune di Rossano e Castriota-Scanderbeg (divenuta poi Solazzi) in quello di Corigliano. Nel corso del 1800 l’industria continuò a svilupparsi, conquistando, grazie alla bontà e genuinità del prodotto, i mercati d’Europa e d’America. L’esportazione della liquirizia calabrese si consolidò ed ampliò nella seconda metà del secolo XIX ed ancora nel primo decennio del secolo XX.
Liquirizia (Gargalizia, Licarizia)
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente meccanica.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: La radice di liquirizia viene mondata dai residui di terra e successivamente tritata con antiche macine. Si ottiene così il succo di liquirizia che viene concentrato, in grosse pentole di acciaio, ad una temperatura di circa 100°C. Il prodotto viene trasformato in pani da cui si ottengono infine le varie forme (scagliette, spezzate, tronchetti). Tutta la fase di lavorazione ha una durata di otto ore.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
MATURAZIONE STAGIONATURA DEL PRODOTTO: Il prodotto viene posto in grossi vassoi di legno ad essiccare mediante forni o stufe.
territorio = TUTTE
INGREDIENTI UTILIZZATI: Radice di liquirizia. Nel prodotto gommoso aggiunta di nero carbone vegetale e zucchero. In alcune varianti aggiunta di aroma di menta, anice, viola e arancia.
FORMA: Varie, generalmente in scaglie e bastoncini.
DIMENSIONI MEDIE: 2 cm.
PESO MEDIO: A partire da 0,5 gr.
SAPORE: Dolce-amaro.
ODORE: Intenso.
COLORE: Nero.
tradizione = La liquirizia pianta originaria dell’area mediterranea, è una leguminosa perenne caratterizzata da radici fittonanti e lunghi stoloni da cui si estrae il “succo o estratto”. Impiegata in diversi settori industriali (particolarmente in quella dolciaria). Esistono diverse varietà ma la più apprezzata è la glabra. In Italia la liquirizia trova localizzazione quasi esclusivamente nella Regione Calabria dove si concentra circa l’80% della produzione nazionale. Da sempre la liquirizia ha costituito per la Calabria una potenziale ricchezza, ma soltanto con l’intervento del Duca di Corigliano, che impiantò la prima fabbrica del genere (1715), agli albori dell’industrializzazione, essa divenne una fonte reale di progresso economico. Altre aziende sorsero sempre nel 1700 e sempre nella Sibaritide, ad opera di nobili e ricche famiglie: Amarelli (1731), Abenante (divenuta poi Martucci nel 1808) e Labonia nel territorio del comune di Rossano e Castriota-Scanderbeg (divenuta poi Solazzi) in quello di Corigliano. Nel corso del 1800 l’industria continuò a svilupparsi, conquistando, grazie alla bontà e genuinità del prodotto, i mercati d’Europa e d’America. L’esportazione della liquirizia calabrese si consolidò ed ampliò nella seconda metà del secolo XIX ed ancora nel primo decennio del secolo XX.
Lestopitta
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO: Esclusivamente manuale.
TECNICHE DI LAVORAZIONE: Impastare la farina ed un pizzico di sale, con l’acqua tiepida e qualche goccia d’olio fino ad ottenere una sfoglia piuttosto sottile; staccare dei pezzetti di pasta e fare delle palline di media grandezza, lavorarle bene e con il matterello spianarle, con un coperchio tagliare dei dischetti del diametro di 10-15 cm. Ungere una padella di ferro con poco olio e quando è ben calda mettere le pitte e farle cuocere prima da un lato e poi dall’altro. Servirle calde con olio nuovo o con salami e formaggi.
PERIODO DI LAVORAZIONE: Tutto l’anno.
territorio = RC
INGREDIENTI UTILIZZATI: Farina, acqua, olio e sale.
FORMA: Circolare.
DIMENSIONI MEDIE: Diametro di 15 cm.
PESO MEDIO: 30 gr.
SAPORE: Farinaceo.
ODORE: Di fritto.
TERRITORIO INTERESSATO: Comune di Bova in Provincia di Reggio Calabria.Lestopitta è un prodotto tradizionale di Bova che ricorda il pane azzimo di cultura ebraica; un insediamento ebraico è storicamente provato nella toponomastica della città di Bova.La lestopitta può essere consumata al posto del pane, spaccata e condita con olio e sale, o farcita con cicciole di maiale e pepe rosso. In origine era una focaccia rituale, decorata o dipinta (picta: dipinta), che gli antichi popoli italici ed i Romani offrivano alle divinità. Secondo il Rohlfs il nome deriva dal greco volgare pitta, che significa, focaccia.